"Uno dei paradossi più sorprendenti dei nostri tempi è la consapevole riduzione ad aree locali della politica attraverso la violenza, in un mondo che si globalizza rapidamente."
Zygmunt Bauman
Liquid Times
Living in an Age of Uncertainty
Vasýf Kortun: Hai preferito l'uso dei LED, non volendo che il tuo lavoro intitolato "Don't Complain" sembrasse un cartellone pubblicitario illuminato. Il fatto che il materiale sia giunto dall'estremo Oriente, dalla Cina, ha a che fare con il lavoro in sé; Soprattutto ad Istanbul il sistema di reclamizzarsi è caotico ed individuale e genera una particolarmente vasta ricchezza visiva non essendo soggetto ad un regolamento.

Hüseyin Alptekin: Soprattutto nel provvisorio tessuto dei cartelloni, dei segni e delle progettazioni di Istanbul esiste una pratica in continuo mutamento tecnologico. E' una situazione che attira la mia attenzione sino dall'inizio degli anni '90. Riproduco fedelmente tale mutazione in tutte le mie installazioni che realizzo prendendole in prestito dal tessuto, dalla città e dalla vita. Riproduco nei miei lavori tutti gli sviluppi momentanei che si realizzano nell'illuminazione e nella decorazione dei cartelloni, dal plexiglas al folio vinile. In un primo tempo le lampade fluorescenti erano state sostituiti da quei tubi di gomma illuminati, una sorta di materiale tecnologicamente scadente ed a basso costo che accendendosi e spegnendosi alimentavano il loro proprio kitsch. Con la globalizzazione anche altre tipologie di luci hanno fatto la loro comparsa ad Istanbul. Avevo già fatto uso di differenti forme di luce, a partire dai neon. Oltre alla luce, agli inizi degli anni 2000 avevo spesso fatto uso dei billboard decorati con paillettes. Atroce risultato della globalizzazione, anche il più piccolo negoziante al momento attuale può avere dei contatti di lavoro con la Cina, Taiwan e Hong Kong. I negozianti di Karaköy seguono da vicino tutti gli sviluppi. E' qui che entra in gioco l'uso del LED. Il LED è entrato in qualche modo nella vita pratica della città, ma nessuno, né qui né altrove nel mondo, sa qualcosa della vita del LED.

V: Hai realizzato anche filamenti di luce. Erano molto fini, differenti dagli altri, piccoli, artigianali.

H: Ha avuto vita breve. Una sorta di neon a fili. Aveva varie denominazioni, come ad esempio light emiting cable. E' apparsa e poi è scomparsa. Si diceva che era stata concepita in Israele e quindi sviluppata da Russi ed Americani, non ha avuto fortuna. Nella mia propria avventura dei materiali avuta inizio con il neon, oggigiorno esiste la realtà del LED, giunta in gran parte dall'Estremo Oriente, una soluzione pratica. Sembra possa forzare duramente il neon, che pareva essere immortale. Non si sa bene quale sia la durata del LED, circolano voci che sia intorno alle 55.000 ore; è possibile sostituire il componente usurato. In un prossimo futuro senz'altro usciranno nuovi materiali. La città sembra un organismo capace di salvaguardarsi rinnovando il proprio tessuto popolare.

V: Oltre alla tua lotta con la globalizzazione, con la vita propria della città, pare che il titolo "Don't Complain" non abbia niente a che fare. Non potevi trovare un altro titolo?

H: Hai ragione; in precedenza, facendo uso di simili materiali, il legame che si instaurava tra il materiale stesso ed il titolo, la scritta, la segnaletica aveva una pretta connessione concettuale e pratica con la globalizzazione, con il rapporto che il globale ha con il locale. Il legame tra la dicitura "Don't Complain" e la globalizzazione può essere instaurato solo indirettamente e per caso. A me pare sia inerente ad un legame universale da punto di vista dell'essere umano, e mondiale da punto di vista della materia.

V: Puoi spiegarti meglio?

H: La mia attenzione per "Don't Complain" come motto e retorica si è incontrato per caso con i LED, che sono apparsi ad un tratto. Non ho proprio voluto scrivere nient'altro. Certo che fare uso della luce nascondendo i LED è molto pratico ed economico, ma tentando di lavorare con i cosiddetti High-Led si è capito quanto potesse essere dispendioso. Il materiale più adatto al doppio senso di "Don't Complain" era proprio il LED, sia che venga usato in maniera nascosta che visibile. L'uso dei LED ad un tratto è apparso come quello più adatto per rendere il concetto di "Don't Complain", per liberarlo dall'uso quotidiano e metterlo tra parentesi, per il mio mutato rapporto con la città e con il cambio di muta di Istanbul, con il mio stile di riflettere tale rapporto nei miei lavori. Si tratta dell'apertura pragmatica e del desiderio di eleganza del sentimento globale del locale nella vita e per la strada. E' un terreno scivoloso, fra l'elegante ed il kitsch. A questo punto si parla della decorazione urbanistica che appare ad un tratto causato da un riflesso creativo proveniente dal locale e, tramite la forma del materiale usato, riflettente il consumismo globale. Ad esempio le paillettes, che un secolo fa avevano un uso elegante, esotico e ristretto, hanno fatto ad un tratto la loro apparizione sulla strada, per essere quindi ripescate dalla moda, facendo un ritorno "trendy". In un certo senso questa volta la moda si è impossessata di un qualcosa che si era messo a splendere per la strada e subito dopo la strada se ne è rimpossessata facendo uso di falsi. Il paradosso in tutto cioè è rappresentato dal fatto che il motivo d'esistenza della globalizzazione, meccanismo del potere, sia basato sul locale.

V: Tornando al significato di "Don't Complain".

H: Colui che ordina di "non lamentarti" in realtà di lamenta a sua volta, fa quello che non vuole venga fatto; è una situazione bizzarra e non solo correlata alla logica. E' una "lamentela", una richiesta ed un ordine basato su un sistema gerarchico: "non lamentarti", "sii contento, sai come vive la gente..." Esiste una situazione gerarchica e quello che lancia il monito è situato in una posizione più alta. La storia dell'agnello e del lupo; il lupo accusa l'agnello di sporcare l'acqua che sta bevendo anche se questi è a valle. (Mi sembra di ricordare che negli anni 90 Michel Serres aveva interpretato in modo parallelo questo famoso racconto di La Fontaine). Da un punto di vista globale, una sorta di pretesa del potere per poter fare uso della propria forza. Ma è un discorso a due sensi. In un mondo che va di male in peggio, nel quale tutto si sta avvicinando alla fine, è possibile anche fare qualcosa, nonostante tutto. D'altro canto lamentarsi ostacola a priori tale possibilità. Nonostante i contrattempi e le cattiverie, lamentarsi limita precludendo tutte la possibilità di lotta. Vi sono delle cose che si potrebbero raggiungere senza lamentarsi. Mi viene in mente il Dr. Riuex nella "Peste" di Camus, che non si arrende neanche sapendo bene quello che accadrà. Simile all'ottimismo che Gandhi e Naipul nutrivano sul futuro dell'India. L'importanza e la realtà di un ottimismo umile. Per questo motivo che ho voluto rendere il concetto di tale frase facendo uso dei LED creando un ambiente popolare sottraendo la forma plastica dalla dimensione del design. Ciò era in sintonia anche con il mio punto di vista e con il mio processo di lavorazione. Il mio scopo non è quello di lanciare un motto ma di fare un'umile consiglio e proporre di pensare sulle possibilità.

V: Allora tale lamentela non è riferita alla Turchia od a un posto in particolare.

H: No, no certo, è valido per chiunque e per qualsiasi posto. Le malattie e le sindromi sono simili in un mondo situato in un processo globale. Al posto di lamentarci dobbiamo cercare di salvaguardare qualcosa sviluppando ottimismo nell'ambito di una presa di posizione individuale, sociale e culturale, nell'ambito di meccanismi individuali, sociali e culturali. Ma non si riesce a fare neanche quello che si potrebbe fare. Il dottore non mira solo a curare la peste, ma anche a contrastare la peste concettualmente, ad adottare una posizione ed un principio per l'umanità. La guarigione dell'essere umano non deve essere solo fisica, materiale e morale, deve permettere il riposizionamento, l'autocritica di fronte a fatti e situazioni, anche se poi non guarisce. La "peste" circola sotto varie vesti in Turchia ed in altre località del mondo. Questa situazione globale ed epidemica risveglia il microbo, il male potenziale che dorme a livello locale.

V: Sembra che non vi siano indizi che inducano lo spettatore a vederla in questo modo. Fra la tua personale interpretazione filosofica ed il lavoro che si percepisce dalla tua installazione esiste una notevole distanza. Il visitatore deve pensare perché si lamenta e di che cosa si lamenta. Esiste il verbo ma non il soggetto.

H: Non lo saprei; si tratta di un consiglio "open ended" ma allo stesso tempo messo tra virgolette con delle cornici luminose. Quello che tu hai paragonato ad una parentesi in realtà è collegato all'installazione. In ogni video presente nell'installazione vi sono delle concatenazioni di fatti e situazione dedicate ad una o più persone. Non nascondo che dal punto di vista soggettivo "Don't Complain" è stato in primo luogo dedicato a te e poi a Camilla. Ma in tale contesto non si tratta di lamentarsi della lamentela del lamentarsi.

V: Si riscontra un'umiltà nelle baracche e nei video contenuti. Il "lamentarsi" si differenzia quando riesco a percepire una meta-etica non focalizzata sui propri problemi, sulla propria geografia o sui propri rapporti.

H: Un secondo aspetto dell'installazione e dei film riguarda le modalità e le strategie di realizzazione. Una sorte di arte minore. Lavorare con quello che si ha tra le mani, senza interessarsi delle possibilità e degli sviluppi tecnologici, produrre in qualsiasi situazione, senza lamentarsi. Addirittura nell'ambito di una propria antologia. I video che si sviluppano in una sequenza temporale che ho denominato "Incident-s", in realtà sono composti da constatazioni ed esperienze a sé stanti, non aventi un posizionamento storico o mediatico. Fatti, miti o mitologie che si sviluppano all'angolo di una strada per un anno, per quattro stagioni, o nella spiaggia di una città, per un periodo di 3-5 ore... La ristrutturazione della storia mettendola tra parentesi, spezzando quello che è lineare e ricomponendo quello che è spezzato. Una sorta di scavo nella storia contemporanea, senza eroi, invisibile e non importante. L'area mentale che offre spazio agli "Incident-s" deriva dalla struttura di ristorante che si è radicata nella mia mente sino dalla gia di 24 ore che facemmo insieme in Georgia. Ti ricorderai di quella nostra esperienza in quella locanda formata di compartimenti dove eravamo andati con un gruppo di persone con le quali ci eravamo richiusi in una loggia e con le quali, dopo aver mangiato e bevuto, avevamo raggiunto uno stano stadio di delirio e catarsi. In questo ambiente un po' fantastico, differenti gruppi di persone in realtà provavano la stessa esperienza nell'ambito dei loro gruppi privati. Questa caratteristica potrebbe essere causata da una sorta di paranoia, da una certa situazione di "paura sociale". Anche in Mongolia avevo riscontrato una simile struttura, come in molti altri Paesi asiatici ex socialisti. Anche il Jamaica Bar che avevo visto a Bristol, aveva una struttura che permetteva agli avventori delle varie feste private di guadagnare tempo nel caso che si fosse presentato uno straniero.

H: I video presenti nelle baracche sono inerenti alla ricerca delle similitudini di un esilio volontario ad opera di un fuggiasco che si è integrato nella località di differenti culture e regioni. Da molto tempo mi interesso delle similitudini dell'essere umano piuttosto che delle differenze. Ci siamo stufati del famoso "altro". Riteniamo che rendendoci "altri" potremmo ovviare al sentimento che gli "altri" nutrono nei nostri confronti. Anche se questa strategia ha delle sue fondamenta, è limitata da un posizionamento e percezione intellettuale che contiene un rapporto gerarchico basato sull'empatia e sul rispetto nonché su una sequela materialistica. Comprendere il prossimo è divenuto una forma di percezione pragmatica che serve a capire noi stessi. Questo è una cosa buona; ma se partiamo dalle similitudini proprie dell'essere umano, dobbiamo a questo punto essere consci del fatto che siamo costretti non solo ad accettare ma anche a capire le differenze. V: Perché un'installazione con cinque spazi? In mente avevo un'idea ispirata alle stagioni.

H: Non poteva essere quattro, non poteva essere pari, non poteva essere simmetrico. Oramai non esistono più le quattro stagioni, non esistono più differenze. Le situazioni e le simmetrie tipiche degli esseri umani sono diminuite. Anche le situazioni umane sono in veloce cambiamento, come i cambiamenti climatici dovuti al riscaldamento globale. I rapporti, le simmetrie e la reciprocità che avevamo con la natura sono scomparse. Con la realizzazione di una costruzione in legno, questi cinque ambienti, questi cinque compartimenti potranno, nell'arco del tempo, fare da scena ad insediamenti tematici e categorici che neanche io riesco da immaginarmi ora. Fare quattro partendo da due riguarda la divisione e la riduzione, mentre partire da tre per arrivare a cinque riguarda la proliferazione, l'allargamento. La struttura più economica per realizzare uno spazio in un ambiente piccolo e simmetrico era quello di allentare i tre volumi per realizzare una struttura con cinque compartimenti. La struttura è stata comandata anche dalla concretizzazione del pensiero: la Storia (la storia frantumata); la Geografia (perdere la propria locazione); l'Economia/Ecologia (rifiuti, riciclaggio, circolazione, rinnovamento, mitologia degli spazzini, contributo all'economia ed all'ambiente); la Politica e l'Ideologia (le persone scomparse); la Filosofia (le spiagge le ombre/le similitudini e le differenze). Queste discipline e pratiche sembra siano strutturate in cinque parti. Si potrebbero anche rappresentare in una sorta di fusione, nella quale tutto cambia di posto, questo lo vedremo. Ad esempio; ho in mente una sezione prettamente personale e melanconica di fianco al video in merito alle persone scomparse nel Kosovo ed in Cecenia. Anche la struttura dei video era simile. Mi ricordo che entro mi aggiravo per Pristina per un altro progetto mi ritrovai di fronte alle sbarre che circondano il Parlamento; sulle sbarre vi erano le fotografie delle persone scompare, fotografie ricoperte dalla neve che cadeva. Subito dopo questa immagine drammatica che avevo mentalmente registrato senza nessuna apparente ragione, mi ero ritrovato davanti ad una canzone scritta da Jay Johanson nella quale narrava un amore che oramai era lontano. Quella situazione formata dal passaggio incessante dei mezzi blindati, dalle sale di massaggio disseminate lungo il corso e dai venditori ambulanti di sciarpe realizzate con la coda dei conigli, quella sequenza di forme che non avrebbero dovuto coesistere, in seguito ha cominciato ad avere un senso. Il motivo per il quale le persone scomparse in Cecenia sono di fianco a quelle scomparse nel Kosovo; le similitudini nella presentazione della realtà, del dolore, della speranza. L'ultimo si tratta di una registrazione che ho fatto in una spiaggia per la scrittrice e giornalista Anna Politskovskaya.

V: Cosa hai deciso di mettere insieme a Anna Politskovskaya?



H: Ho affisso in un angolo del mio ufficio una grande ed impressionante fotografia pubblicata dal Guardian dopo il suo assassinio, ho rabbrividito di fronte alla fine della sua lotta che era stata preannunciata e preparata ed ho provato uno strano sentimento, una sorta di provare orgoglio. In un certo senso era paragonabile alla lotta del dottor Rieux contro la "Peste", imperterrita ed aperta ai rischi. Che dava coraggio a tutti. In quel periodo ascoltavo spesso una canzone in Russo sulla guerra in Cecenia, inviatami da un amico?. Si trattava di un musicista ambulante nella Repubblica di Komi che la cantava suonando la fisarmonica. Nonostante non capissi una sola parola di questa canzone blues stile litania, l'ho unita alle fotografie pubblicate su Internet ed appartenenti alle persone scomparse in Cecenia. Mi sono accorto a questo punto che quando guardiamo alle fotografie di persone scomparse non le consideriamo come persone ma solo come fotografie, senza essere consci della realtà delle loro vite. Ho quindi posizionato queste fotografie in una sequenza, consona alle tonalità della litania. In questo modo ho cercato di liberare quelle persone dall'anonimato. Una sorta di forma di rispetto a quelle persone scomparse, ad una ad una, anche se ero scomparse o morte. Questo film è una sorta di memorial in onore di Anna Politkovskaya. Infatti anche lei aveva preso parte fra le file delle persone scomparse. Ai suoi funerali, le stesse mamme che cercavano i loro cari scomparsi in Cecenia, questa volta cercavano lei, tenendo in mano la sua fotografia.

V: Ti sei interessato di Anna Politkovskaya; anche Hrant Dink, che presenta molte similitudini con la Politkovskaya, è stato assassinato quasi con largo preavviso. In questo senso nella partecipazione della Turchia a Venezia esiste anche l'ombra di Hrant Dink.

H: In realtà la mia occupazione per la Cecenia od il Kosovo o, per meglio dire, quello che ho fatto per ricordare, ha un duplice risvolto. Gli scomparsi non sono solo i Ceceni, ma anche giovanissimi soldati russi. Per questo motivo che la canzone cantata con la fisarmonica ha importanza. Non so le fotografie appartengono a Ceceni o a Russi. Ho scritto al sito "Human Rights Watch", dal quale ho preso in prestito le fotografie, chiedendo di poter contattare il fotografe, avere delle informazioni e chiedere il permesso di farne uso, ma non ho ricevuto risposta. Per questo motivo non ha importanza a che parte appartenessero le persone ritratte e i loro parenti. Lo stesso vale per i dispersi nel Kosovo. Tenere i Serbi fuori dalla questione non facilita la soluzione. Quello di cui mi occupo, la direzione alla quale mi rivolgo non appartiene ad un'unica fazione, non si tratta di chi ha torto o ha ragione. L'importanza è la postura dell'essere umano. L'assassinio tramite taglio della gola è una ferocia ed una vergogna, ma la loro tortura prima dell'uccisione è l'ombra socio-patologica di un'altra disgrazia.

V: L'avevo chiesto perché rilevi le situazioni della coscienza fra le similitudini. I masse media sono sempre più avidi di tragedie, non è importante chi e dove, solo l'aumento del flusso delle immagini. Anche lo spettatore è coinvolto. Boris Groys affermava che la vera tragedia ha inizio quando queste immagini si fermano.

H: Quello che qui mi interessa, la mia politica se vogliamo dire, sono le persone scomparse, di qualunque parte esse siano. Io voglio porre fine alla loro immagine puramente mediatica, indagando sul nostro abietto modo di guardare e percepire. In realtà siamo noi che li distruggiamo. L'immagine nell'immagine, mettersi in posa, mettere in posa... è una trama prettamente pornografica. Le persone si intravedono con in mano una fotografia di un loro caro. Quello che ci rimane impresso nella mente è proprio questa scena. Non la loro individualità, le loro personalità. Il mio interesse politico non è solo rivolto al Kosovo o alla Cecenia, potrebbe esserlo, ma alla percezione ed alla messa in scena delle persone scomparse. Alla nostra situazione, alla nostra postura di fronte a questo processo. Il fuoco brucia il posto dove cade ma un giorno questo fuoco potrebbe bruciare tutti noi. Se ho realizzato un qualcosa in memoria di Anna Politkovskaya, questo è dedicato anche alla memoria dei giornalisti morti od uccisi nel nome di simili scopi e circostanze. Il rispetto è rivolto a tutti. Ma questi assassini in diretta e L'operato delle loro riflessioni negli strumenti globali, nelle reti internet e simili, si basano tutti su di una macabra uniformità. Un'uniformità cattiva e che assomiglia alla "peste". Quello che mi fa rabbrividire è la fotografia vista in un sito, persone con in mano delle fotografie riprese davanti ad un muro, mi viene da dire "decorato" da fori di proiettili. Condivido che se non esiste l'immagine è la tragedia, ma vederla solo come immagine scindendola dalla sua realtà non è l'approvazione irrevocabile della tragedia stessa?

V: Perché negli ultimi tempi sei diventato un romantico? Nei tuoi lavori sullo spazzino, sulla spiaggia, esiste una sorta di malinconia. Malinconia che diventa più greve quando vi posizioni sopra la musica.

H: Giusto, anche io sono conscio di questa situazione, di questo stadio emotivo. Mi sembra una situazione collegata ad una fuga, qualcosa che abbia a che fare con il fuggire. Fuggire da sé stessi, fuggire dalla cultura, dalla propria locazione, fuggire dalla rete informativa, fuggire dai miei amici, fuggire dai miei propri valori, fuggire dal mio quartiere, fuggire dal campanello della ricreazione delle scuole elementari davanti a casa mia, dal richiamo alla preghiera, dal traffico, dall'inquinamento dei segni... Questa situazione ricorda un po' gli artisti romantici dei vecchi tempi. Lavorare mentre fuggi, integrarti con la località delle culture dei luoghi che visiti, magari divenire un parassita, privarsi del proprio ambiente, produrre mentre sei in un esilio volontario... tutte componenti della parte romantica del fatto. Secondo me la mia sentimentalità che si insinua nei lavori non dipende da un fatto romantico. E' un qualcosa che già esiste, già è presente nella struttura di quello che vedo, quello che guardo, quello che creo prendendo in prestito dalla vita. I fiori appassiti dello spazzino, la sua funzione nel creare delle mitologie sociali ed un ciclo ecologico pulito ed utile possiede un malinconia invidiabile, nonostante questo possa apparire reale quanto vuole. La spazzatura è la "peste", ma nonostante ciò, gli sforzi per formare un sistema economico ed ecologico, formare un guardaroba, creare un habitat senza mai lamentarsi mi da tanto contentezza quanto malinconia. Anche il solo passeggiare delle persone prevalentemente povere su una spiaggia di Bombay, pensando o divertendosi, creando una sorta di romanticismo, per me è una situazione romantica. In questo dondolio non esistono soldi, beni, identità, non esiste quasi niente. Il mare, il sole, le ombre, la città e la cultura forniscono una prospettiva malinconica.

V: Comincio a capire perché con il tempo hai ridotto il tuo rapporto con la Turchia. Salvaguardi il tuo stato mentale tenendoti alla lontana. Io sto combattendo una simile lotta rimanendo qui.

H: Da un lavoro eseguito con un simile stato d'animo possono scaturire prodotti aventi simili stati emotivi. Diciamo che si tratta della ricerca di un'altra tipologia del sapere. Dopo essere scomparso dalla circolazione per qualche anno, mi sono rifatto vivo all'ultima Biennale di Istanbul con un lavoro "storico" che si potrebbe definire come romantico. Quando di è in esilio, volente o nolente viene a formarsi una politica ed una strategia. Dopo essere tornato, per la Biennale, al mio quartiere e dopo aver fatto il mio lavoro, sono ricomparsi i miei timori e le mie paure in merito ai miei posti , al mio quartiere. Ogni volta che tornavo a casa, al mio quartiere, quella persona di colore muta che vive nella discarica all'angolo della strada e tutti i miti che lo circondano mi hanno fornito un microcosmo della città, una sezione cronoscopica dell'immane città globale di Istanbul, usa sorta di Google-Earth. Andando e venendo, mi sono accorto che quello straniero, quel clandestino, quella persona anormale in rapporto forniva, con la sua modesta lotta portata avanti nel suo angolo, più vantaggi alla città di qualsiasi altro. Un giorno hanno portato via la carcassa d'auto che aveva eletto a sua dimora e poi hanno portato via lui. A causa delle lamentele e per motivi di sicurezza. Ogni tanto torna con la sua carretta e dopo aver dato una sistematina, se ne va. A questo punto bisognerà indagare sulle ragioni della fuga e dell'esilio volontario. Non so che cosa si possa fare oltre che fuggire dai paradigmi dell'incesto della minoranza felice ed intellettuale, dall'ombra e dai contorni della feudalità che ha preso piede in tutte le classi sociali, dal modo "alla Turca" che penetra fino nel profondo dello spirito e della materia. E poi esiste anche la produttività derivante dall'essere errante, il poter guardare da lontano al posto dal quale sei fuggito, avere nostalgia... L'opera che ho realizzato per la Biennale di Istanbul è prettamente correlata alla vista di Istanbul dall'esterno, e dall'essere stato costretto ad avere a che fare con la da sempre odiata Storia e Hegel. So inoltre che per tutta la mia vita mi sono avvicinato alla politica in misura proporzionale al mio odio che provo per essa. Per la "lotta" fra la peste e l'uomo non deve per forza esserci un topo.

V: Tu non sei fuggito da ciò che era locale, ma dal tuo quartiere.

H: Il mio problema è stato perlopiù causato dalla feudalismo e dalla Turchicità che si trovava nel mio ambiente. Non era un problema di identità. Era un'altra cosa. Una situazione di "Alla Turca" che oramai ha penetrato tutte le classi della società, dal povero al più ricco, dal più ignorante al più intellettuale, alle classi più facoltose, e, addirittura, agli stranieri che vivono in Turchia. Una situazione che coinvolge ed avvolge sia me che te. Per poter capire ed aver nostalgia del quartiere bisogna starci lontano per un po'. Stare lontani affinché riuscire a focalizzare quello che si vuole percepire. Lo sapevi che Nazým Hikmet, per il suo esilio in Istanbul, aveva imposto la condizione che la casa vedesse la Moschea di Süleymaniye? Io avevo dimenticato che da casa mia si vede Süleymaniye e la rimiravo nella fotografia presente sulla mia scrivania.